28 febbraio (Nick)

Riesco finalmente a convincere Mariasole che sto bene e per fortuna mi lascia andare.

Saranno passati cinque minuti da quando lei se n'è andata.

Corro nei corridoi, anche se l'infermiera mi ha esplicitamente detto che non devo fare sforzi per qualche giorno.

Devo trovarla: il nostro rapporto non può chiudersi così.

Entro in classe per cercarla, ma non è seduta al suo posto.

"Dov'è Aurora?" Chiedo alla prof.

"Non è qui: hanno chiamato a casa. Vai in sala d'attesa vicino alla porta d'ingresso: probabilmente sta aspettando lì."

"Grazie, prof."

Esco dall'aula e corro di nuovo per i corridoi fino alla porta d'ingresso.

Non è neanche lì.

Mi viene l'impulso di chiedere a Carla e Genna, le due bidelle, ma mi fermo subito.

Non mi hanno ancora notato ed è meglio così: se lo sapessero mi bloccherebbero e non mi permetterebbero di continuare a cercarla.

Corro nella direzione da cui venivo.
"Dai Auro, dove sei?" Chiedo a bassa voce.

"Dove sei andata?"

Genna si è accorta di me e mi chiama dal fondo del corridoio.

"Nick! Vieni qui, tua zia sta arrivando!"

Non la ascolto. Devo trovare Aurora ad ogni costo. Devo salvare il nostro rapporto.

"Auro!" Chiamo.

Nessuno mi risponde.

Intanto la voce della bidella si fa più vicina. Sta venendo da me.

Non potrei fare quello che sto facendo. Dovrei riposare dopo la botta che ho preso.

Che Cole mi ha dato. Penso.

"Auro!". Ancora nessuna risposta.

Ho un capogiro: forse Mariasole aveva ragione quando diceva che forse non ero ancora al 100 per cento.

Mi appoggio alla parete e aspetto che passi.

Intanto Genna si avvicina e mi prende da sotto il braccio per sostenermi.

Aspetto solo di recuperare le forze e poi la allontano.

Devo trovare Aurora, non importa più nulla.

"Vai in sala d'attesa, Nick. Non stai ancora bene! Aspetta almeno di riprenderti!"

"No, Genna: devo trovarla. Devo trovare Aurora"

"Deve essere una questione di vita o di morte per non poter aspettare fino a domani"

"Non sai quanto lo sia"

"Vuoi che venga con te?"

"No. Se vuoi aiutarmi dividiamoci. La troveremo più in fretta."

"Ci ritroviamo all'ingresso però."

"Certo Genna, grazie per l'aiuto."

"Di nulla, bambino mio."

Genna vede tutti noi alunni come figli ed è contenta di aiutarci ogni volta che può.

Ha sviluppato poi una grande complicità con me, non so ancora bene come.

La vedo come una seconda mamma e la stimo davvero molto.

Forse è solo che siamo spiriti affini, con le stesse simpatie e antipatie.

Se ci troviamo per caso a parlare di uno studente, scopriamo spesso di avere le stesse opinioni.

Ad esempio, qualche giorno fa mi è capitato di parlare con lei di Aurora.

Non so ancora come abbiamo preso l'argomento, ma lo abbiamo fatto.

Mi ha detto che pensa sia una ragazza splendida, ma con un passato tetro. Si vede a tre miglia di distanza.

Ed è per questo che devo trovarla ad ogni costo.

Corro ancora nel corridoio, cercando di capire dove possa essere.

"Auro! Auro! dove sei?"

Ancora nessuno mi risponde.

Menomale che anche Genna mi aiuta.

"Auro!"

Ho percorso praticamente mezza scuola e ancora non la trovo.

Sto sinceramente pensando di tornare all'ingresso e di aspettare Genna.

"Auro!" Chiamo un'altra volta.

Mi metto in ascolto.

Sento solo una cosa: un gemito strozzato. Viene da qualche aula più avanti.

Accosto l'orecchio ad ogni porta che mi capita vicino.

I gemiti si fanno più violenti e capisco che vengono dall'aula informatica.

Entro senza nemmeno bussare e per poco non svengo dalla scena che mi si presenta davanti agli occhi.

Il mio incubo si è avverato.

"Auro! Ma che stai facendo?" Domando sbigottito.

Ha un cavo nero attorno al collo e con le mani ne stringe le estremità.

Ha formato un cappio e si sta strozzando.

Si è fermata vedendomi, ma non la lascio con quell'affare attorno al collo.

Non le do nemmeno il tempo di realizzare che sono già in ginocchio davanti a lei e le tolgo le mani dal cavo.

Non so sinceramente cosa abbia potuto capire con il poco ossigeno che doveva arrivare al cervello.

Aveva stretto il cappio tantissimo, tanto che le ha lasciato un profondo segno rosso.

Tiro via il cavo e le prendo la testa con le mani.

"Vattene via!" Mi urla piangendo quando ha ripreso fiato.

Si allontana da me e corre di nuovo verso il cavo, ma io la prendo per una mano e la costringo a guardarmi.

"Si può sapere che ti passa per la testa?" Domando tenendola per i polsi.

"Lasciami!" Dice dimenandosi.

È forte e quasi mi scappa, ma io la abbraccio e lei si abbandona alle lacrime.

Mi stringe forte e continua a singhiozzare.

Le accarezzo i capelli.

"Scusami" dice. "Mi dispiace tanto. Non avrei dovuto dirti quelle cose"

Ripenso a ciò che è successo qualche minuto fa:

Flashback

Mi risveglio su una brandina con Mariasole che mi guarda.

Per un attimo sono stranito ma poi mi ricordo: Cole.

Quello stronzo bastardo.

Non mi è mai piaciuto, ma questo ha superato ogni limite.

Arrivo appena a dischiudere gli occhi e già la penso.

Spero davvero che sia qui con me: le devo parlare.

Mariasole mi aiuta a sedermi e mi fa qualche domanda su come sto.

Le rispondo che mi fa un po' male la testa ma che è sopportabile.

Lei si scosta e si allontana.

Solo allora riesco a guardarmi intorno.

Sulla brandina davanti alla porta c'è lei. Continua a non guardarmi.

"Come va?" le chiede Mariasole.

"Meglio" risponde la sua voce vellutata.

Non aveva detto di stare bene, prima?

Lo ha detto per non farmi preoccupare?

Dentro di me do un grido di gioia.

È da un sacco di tempo che sognavo che mi notasse.

L'infermiera le scopre la schiena perfetta, ma sul lato destro c'è un grosso livido nero.

È stata convincente quando Cole l'ha buttata a terra: non ha fatto nemmeno una smorfia.

L'ematoma è circolare, come se l'avesse colpita qualcosa solo in quel punto.

Eppure quando è caduta, mi è sembrato che non ci fosse nulla a terra.

"Stai bene" le dice Mariasole "puoi tornare in classe".

Lei obbedisce e scende dalla brandina.

"Auro, aspetta." dico. Lei si ferma.

"Resta"

Aurora si gira e mi guarda con i suoi grandi occhi verdi.

Mariasole guarda prima lei e poi me. Vedo che sorride.

"Vi lascio soli" dice ad un certo punto.

Credo abbia compreso la situazione.

Aspetto che richiuda la porta per cominciare a parlare.

Dovrei dirle un sacco di cose, ma non so più da cosa cominciare.

"Io..."

No non so davvero che cosa dirle.

"...cosa è successo con Cole?" Chiedo alla fine.

La vedo abbassare lo sguardo per un secondo.

"Mi ha detto di essere il mittente del biglietto." Risponde lei.

Tra tutte le cose che mi avrebbe potuto dire, quella era proprio l'ultima.

"Come?!" Domando in preda ad un'ira cieca.

Se non mi facesse ancora male la testa, andrei a cercare Cole per il secondo round.

"Sì, è lui" mi dice, come se la mia rabbia dipendesse da questo.

"È un falso bugiardo!" Urlo furioso.

Ho davvero una voglia matta di andarlo a cercare e picchiarlo fino a quando non sanguina.

"Ti giuro che è lui!". Adesso anche lei alza il tono. Sembra arrabbiata.

Lo sta difendendo?

"Come fai a dirlo?" chiedo cercando di riportare la conversazione ad un tono normale.

"Come fai tu a dire che non è lui?"

Non so che risponderle. Tra tutti i modi in cui poteva accadere che glielo confessassi, questo non era proprio quello che mi aspettavo.

"Io... non posso dirtelo" dico alla fine.

Come potrei dirle che quello che l'ha fatta incazzare ieri e quello che le ha mandato il biglietto sono la stessa persona?

Prima volevo dirle i miei sentimenti, invece di confessarle di essere il mittente.

Era questo il piano originale e vorrei mantenerlo.

Almeno aspettare un paio di giorni perché lei torni in sé.

"E dovrei fidarmi?" Chiede in preda all'ira.

Ora però sto sul serio dando di matto: sul serio sta difendendo quello stronzo di Cole?

"Ecco..."

Sono tentato di dirle la verità, ma voglio mantenere i miei piani.

Preferisco che prima di scoprirlo mi si affezioni un po' di più.

Ecco che entra la preside.

Tempismo perfetto, direi.

"Ragazzi, tutto okay?" chiede.

"Sì" risponde Aurora "tutto a posto".

"Cos'è successo con Cole?"

"Mi ha aggredita," risponde con una scioltezza che non sembra neanche sua "ma Nick mi ha difesa, così si è scagliato contro di lui e lo ha colpito."

"Sarà sospeso per quello che ha fatto." risponde.

Sto letteralmente godendo come un matto.

"Non preoccupatevi: non vi torcerà più nemmeno un capello."

"Grazie prof." Risponde lei.

La donna esce dall'infermeria e Aurora la segue.

Mi piego in avanti sulla brandina, come a cercare di fermarla.

Vorrei parlarle, ma lei non mi dà il tempo.

"Considerala l'ultima volta che ci parliamo" dice gelida senza nemmeno voltarsi.

Queste parole per me sono una doccia fredda.

"Ma che ti ho fatto?" Le chiedo quando ritrovo le parole.

Non si volta, non mi risponde; come se non mi avesse sentito.

Lenta e inesorabile chiude la porta alle sue spalle e così, credo, anche il nostro rapporto.

Fine flashback

"Hey, Auro, tranquilla, non fa nulla." Le dico.

"Non preoccuparti. Avevi tutto il diritto di essere arrabbiata con me fino a volermi sfondare l'altra tempia.

Ma non è un buon motivo per provare a strozzarsi con un cavo."

Lei singhiozza. Lo vedo che sta male.

"Non avrei dovuto dirti quelle cose.

Non dopo che mi hai difesa in quel modo con Cole."

"Dovevo farmi perdonare per ieri."

Le sue braccia diventano tese. Non le sento quasi più toccarmi.

Ho detto qualcosa di sbagliato?

Viene scossa da uno spasmo di dolore e scioglie l'abbraccio.

Mi fissa con i suoi profondi occhi verdi con espressione a dir poco stravolta.

Respira piano e un'altra lacrima le riga il viso.

Si affretta ad asciugarla con la mano e mi abbraccia di nuovo, ancora più forte di prima.

Resto per un po' senza capire, poi ricambio l'abbraccio e abbandono la testa nell'incavo del suo collo.

La sento accarezzarmi i capelli con una dolcezza incredibile che mi dà i brividi lungo tutta la schiena.

Non dovrebbe essere incazzata con me fino a volermi morto?

Mi ritorna in mente ciò che è successo ieri:

Flashback

"Ciao Auro" le dico.

Lei resta in po' in sospeso, come se le avessi detto chissà cosa.

Mi guarda e solo allora risponde al mio saluto.

"Ti ho vista pensierosa in corriera." Dico fingendo indifferenza "Tutto bene?"

"Sì, tutto ok."

Lo vedo che mi mente; non ci vuole un genio per capirlo

"Potrebbe andare meglio..." sussurra.

Adesso mi sorge un dubbio: è colpa del mio biglietto?

Fingo indifferenza ancora una volta, così da metterla a suo agio.

Se capisse che l'ho sentita, so che perderei anche questa minima occasione che sono riuscito ad ottenere.

"Che è successo con quella signora?" chiedo, cambiando argomento.

"Mi ha dato un biglietto." Risponde lei.

"Ha detto che era da parte di un ragazzo ma non mi ha detto chi."

Allora non l'ha capito per davvero!

"Hai avuto un'avance?" chiedo fingendomi sorpreso.

"Credo di sì."

Sembra davvero crederci: forse non sono così pessimo come attore.

"Dai, voglio sapere." Chiedo facendomi interessato "Cosa ti ha scritto?"

"Una poesia."

"posso leggerla?".

La domanda la lascia un po' sorpresa.
Sicuramente non si aspettava che le chiedessi una cosa del genere.

Per un attimo mi sento indiscreto, ma ho bisogno di sapere.

Non faccio una piega, anche se dentro di me sorgono una marea di dubbi.

"...sì" risponde alla fine, prendendo la poesia da una tasca dello zaino.

Non ci speravo quasi più.

La prende in mano e me la consegna.

Me la rigiro in mano e la apro.

Non la sto leggendo, ovviamente: so quello che ho scritto, voglio osservare quello che fa lei.

Con al coda dell'occhio, vedo i dubbi e le preoccupazioni sorgere in lei, sempre più forti.

Il suo corpo comincia ad irrigidirsi: quella poca fiducia che aveva verso di me sembra sbriciolarsi sotto il peso delle sue insicurezze.

Vorrei che si fidasse di più.

Alzo lo sguardo e la osservo: è tesa dalla testa ai piedi, sembra pronta a scattare come una centometrista.

Ha un braccio sul banco teso verso il biglietto, l'altro appoggiato alla sedia.

Non tiene più la schiena sullo schienale.

Mi fissa negli occhi, come se si aspettasse da me qualsiasi cosa, ma io non sono come tutti quelli che ha conosciuto. Non sono tipo da prenderla in giro.

"È stupenda." le dico allungandogliela.

Lei guarda il biglietto e conduce lentamente la mano verso di me.

Aspetto che la prenda, ma lei non lo fa:

mi sta studiando.

Studia le mie mani, i miei occhi: vuole capire se la sto ingannando.

Passa veloce lo sguardo da me al biglietto e poi di nuovo a me.

Solo allora si decide a prenderla.

Fa uno scatto con la mano che quasi mi spaventa.

Tiene solo un lembo di carta.

Non lo riprende: vuole essere certa che glielo stia davvero cedendo.

Alza gli occhi e i nostri sguardi si incontrano.

Sento di doverla rassicurare e le sorrido.

Finalmente si decide a fidarsi di me e riprendersi la lettera.

Ricambia il sorriso.

È davvero stupenda.

Abbassa gli occhi.

Ad un certo punto non riesce a frenarsi e mi chiede: "perché non...?".

Ho capito cosa vuole sapere e mi affretto a rispondere: "Non sono come Sam..."

Mi guarda allibita.
Mi sorride di nuovo e mi ringrazia.

"Non mi devi ringraziare, Auro.

Ti puoi fidare di me." le dico con gli occhi fissi nei suoi.

Voglio che sappia che sono sincero.

Lei mi ricambia per un momento e sembra più serena, ma poi la sua espressione torna triste.

Mi fa un altro sorriso, ma stavolta è molto più spento e non le illumina gli occhi.

Poi si alza e se ne va, senza dire una parola.

Non capisco perché.

Ho detto qualcosa di sbagliato?

Mi metto ad inseguirla fuori e la trovo che piange in ginocchio.

Vorrei avvicinarmi, ma non so cosa dirle.

Se ora sta piangendo, probabilmente è per colpa mia.

Resto a guardarla, mentre lei continua a piangere.

"Che stronzo!" Urla ad un certo punto.

Adesso sono sicuro che parli di me.

Fine flashback

"Non hai nulla di cui farti perdonare, Nick.

Non sono mai stata arrabbiata con te, ma con me stessa."

A questo punto alzo la testa e cerco i suoi occhi, ma lei non ricambia.

Il suo sguardo è fisso nel vuoto.

"Mi sono odiata nel profondo quando non mi sono fidata di te.

Tu sei una persona stupenda ed io sono sbagliata.

È per questo che non mi fido.

Non riesco a fidarmi nemmeno delle persone come te."

Tira su col naso e si asciuga gli occhi.
Poi tace.

"È per questo che hai preso il cavo?" Domando capendo sempre meno.

Dopo questa affermazione non so se sentirmi più sollevato perché non è per colpa mia se è corsa via in lacrime o triste perché non ho modo di farla stare meglio.

"Ti prego" chiede tra i singhiozzi "possiamo non parlarne più?".

Il suo respiro è mozzato, il battito irregolare e mi stringe forte, come per paura di qualcosa,

come se fossi la sua ultima speranza di salvezza.

Poi allenta la presa e cerca di tornare a respirare in modo normale.

La circondo con un braccio e lascio che si appoggi a me.

Le do un bacio sui capelli. Lei mi prende la mano e me la stringe.

Mi guarda negli occhi e per un momento sorride.

Sento il mio cuore fermarsi.

Mi sembra di essermi perso nei suoi occhi.

Ho i brividi.

Mi avvicino a lei, ma distoglie lo sguardo prima che possa raggiungerla.

Sono stato stupido.

Lei si stava letteralmente per ammazzare ed io penso ai sentimenti?

Non ci ho nemmeno pensato in realtà:

è stato un istinto.

La amo.

Dovrei dirglielo.

Dovrei dirle che sono il mittente del biglietto.

Dovrei dirle che sono io l'autore di quella poesia, non Cole.

Dovrei dirle tante cose, ma non trovo le parole.

Credo che siano tutte rimaste in gola e che non abbiano il coraggio di uscire.

Mi sembra che sia lei a farmele morire in bocca.

I suoi occhi sono troppo belli.

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